Nato a Genova nel 1896, Eugenio Montale è
considerato una delle massime voci della poesia mondiale del
900.
Trascorse la prima parte della sua vita tra gli studi e le
vacanze estive a Monterosso, alle Cinque Terre, dove il padre
aveva una villa. Durante il servizio militare (prestato nel
corso della Prima Guerra mondiale) conobbe alcuni poeti ed
intellettuali che diverranno in seguito oppositori del fascismo
per il quale lui stesso provava un senso di rifiuto, vissuto
come una perenne offesa all’intelligenza dell’uomo;
l’insofferenza aumentò a mano a mano che il regime acquistava
forza e consenso, anche fra gli intellettuali; durante la guerra
di Etiopia, che segnò il punto più alto della parabola fascista,
Montale rimase tra i pochi a parlar male del regime tanto da
indispettire parecchi del suo ambiente.
Nel dopoguerra fu vicino
a Gobetti diventando collaboratore della rivista degli
intellettuali antifascisti “Il
Barretti”.
Si trasferì poi a Firenze, dove per
alcuni anni fu direttore del Gabinetto scientifico-letterario
Viesseux. Da questo incarico fu poi allontanato perché non
iscritto al partito fascista. Cominciò così un periodo di gravi
difficoltà economiche e fu allora che Montale pensò di emigrare
negli Stati Uniti, ma ebbe tali difficoltà per ottenere il
passaporto e il visto che dovette rinunciare.
Durante l’occupazione tedesca di Firenze Montale soccorse e
ospitò amici come Umberto Saba e Carlo Levi, costretti a
nascondersi per sfuggire alle persecuzioni razziali.
Terminata la guerra cominciò il suo rapporto di collaborazione
col “Corriere della Sera” e si trasferì a Milano.
Nel 1962 sposò Drusilla Tanzi, che gli era rimasta vicino fin
dagli anni di Firenze e che morì l’anno successivo; a lei dedicò
le poesie di Xenia.
Fu nominato senatore a vita nel 1967 mentre nel 1975 gli fu
conferito il premio Nobel che consacrava la sua dimensione
internazionale di poeta.
Montale morì, dopo una breve malattia, nel 1981.
Questa prima raccolta montaliana esprime una
concezione del mondo radicalmente negativa.
Nell'uomo, e anche nel poeta, manca ogni certezza; e nel mondo
dominano l'aridità e il male. Tutto è preda del "male di
vivere". Gli ossi di seppia sono una delle tante forme della
vita che si sgretola inutili relitti che il mare con il suo
perpetuo fluire e rifluire abbandona sulla riva.
Però Montale non resta appiattito sulla sua visione negativa. Di
tanto in tanto (a cominciare da “I limoni”, fino alle ultime
liriche della raccolta: Crisalide ecc.) si profila la tensione
di un animo, di una mente che cerca un "varco" oltre il quale,
fuori della "prigione", sorrida la vita, la felicità, la
pienezza dell'essere. Il tema del “varco”, appunto, (e della
“fuga”) è uno dei motivi portanti di tutta la raccolta.
Il
motivo di fondo della poesia di Montale è una visione
pessimistica e desolata della vita del nostro tempo, in cui,
crollati gli ideali romantici e positivistici, in cui tutto
appare senza senso, oscuro e misterioso. Vivere per lui, è come
andare lungo una muraglia che impedisce di vedere cosa c’è al di
là, ossia lo scopo e il significato della vita. Né d'altra parte
c'è alcuna fede religiosa o politica, che possa consolare e
liberare l'uomo dall'angoscia esistenziale. Nemmeno la poesia,
che per Ungaretti e in genere per i poeti del Decadentismo è il
solo strumento per conoscere la realtà, può offrire all'uomo
alcun aiuto.
Perciò, egli scrive, «non domandarci la formula che mondi possa
aprirti», ossia la parola magica e chiarificatrice, che possa
darti delle certezze, come pensano di dirla «i poeti laureati».
L'unica cosa certa che egli possa dire, è «ciò che non siamo,
ciò che non vogliamo», ossia gli aspetti negativi della nostra
vita.
Di fronte al «male di vivere» non c'è altro bene che «la divina
Indifferenza», ossia il distacco dignitoso dalla realtà, essere
come una statua o la nuvola o il falco alto levato. Ma questa
indifferenza non è sempre concessa al poeta, il quale è spesso
preso dalla nostalgia di un mondo
diverso, dall'ansia di scoprire «una maglia rotta
nella rete / che ci stringe», «lo sbaglio di natura». Perciò la
“negatività” di Montale, ossia la sua tendenza ad evidenziare
gli aspetti negativi della vita, non è statica ma oscilla tra le
constatazioni del “male di vivere” e la speranza del suo
superamento.
Basta guardarsi intorno, suggerisce Montale, per scoprire in
ogni momento e in ogni oggetto che osserviamo il male di vivere,
come nei paesaggi aspri della Liguria, nei muri scalcinati, nei
greti dei torrenti, nel rivo strozzato che gorgoglia, nella
foglia riarsa che s'accartoccia, nel cavallo stramazzato. Ogni
paesaggio e ogni oggetto è visto da Montale contemporaneamente
nel suo aspetto fisico e metafisico, nel suo essere simbolo
della condizione umana di dolore e di ansia. E' questa la
tecnica del "correlativo oggettivo", teorizzata dal poeta
inglese T.S. Eliot, che consiste nell'intuizione di un rapporto
tra situazioni e oggetti esterni e il mondo interiore.
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